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Infanzia

( Rainer Maria Rilke )

Lascia che l’infanzia vissuta, questa indicibile
fedeltà del cielo, non ti sia contraddetta dal destino.
Persino al prigioniero che si rovina nel tetro carcere,
ha prestato segreto soccorso fino alla fine. Perché  
per sempre trattiene il cuore.


Anche il malato, quando si irrigidisce e comprende
e già la stanza più non gli dà risposta perché ancor sana-,
e sanabili stanno intorno gli oggetti, febbricitanti, pure loro malati,
ma sanabili ancora, intorno a lui che è già perso- persino lui dell’infanzia ancora fruisce. Pura, caducità della natura, coltiva l’aiuola del cuore.

L’inizio della poesia è un sommesso imperativo: l’infanzia ha una componente celeste che continua a elargire forza.

(Lass dir, dass Kindheit war…)

E’ il momento che ci dona prospettiva infinita e il vigore di formulare un progetto autentico e duraturo: ‘coltiva l’aiuola del cuore’. Questo non significa-come la lirica dirà in seguito- che non vi siano angoscia o paure:

Non che sia innocente; la pia menzogna che l’avvolge
e imbelletta ha solo temporaneamente illuso.
Mai è più sicura di noi, né mai più tutelata;
nessuno tra gli dei valuta il suo peso.
Priva di ricetto come noi, come animali in inverno senza protezione.
Meno sicura ancora perché non conosce rifugi.
Esposta come fosse lei stessa minacciata. Senza riparo
come un incendio, come un gigante, come un veleno
come qualcosa che si aggira in una casa sospetta dalla porta sbarrata.

Altra eredità dell’infanzia è la paura che deriva dal non sentirsi tutelati. La mano protettiva delle madri a volte trema di incertezza ma al bambino restano le infinite risorse del gioco, dove con innumerevoli combinazioni, aprendosi una prospettiva infinita, si fa strada la speranza e il pericolo si capovolge in protezione. Sarà principalmente la bambola a offrire possibilità di identificazione, oggetto di  molteplici scambi di ruoli nati da innumerevoli fantasie.

Eppure, per una piena identificazione, anche la bambola andrà superata, diverrà estranea quando, intensa, maturerà la ricerca del proprio io. Una consapevolezza nuova che rende alieno ciò che prima era familiare , ludico oggetto.

E già corrompe la bambola, buona, giocattolo poco prima ancora tenero,
ma ora, pur ancora in braccio, già come estranea spaventa.
Non di per sé, non per la sua povera, perdonabile estraneità,no;
per l’inclinazione del bambino verso tutto ciò che ha accolto.
Accolto in lunghi giorni di fiducia, nelle innumerevoli ore
di gioco continuo, quando il bambino di fronte al tu,
che senza invidia aveva creato, si cimentava e si distingueva
e faceva esperienza, distribuendo su entrambi le proprie forze,
le riserve che così nuove in lui si accumulavano.
Lontananze del gioco! Qui fruttuosa si tramandava
nella beata inventiva, più che nella tardiva crescita
ben oltre i nipoti -, la natura appagata!
.. O bambola,
remota figura- , come le stelle nella lontananza
divennero mondi, tu fai del bambino una costellazione.

Superata la bambola, nuovi orizzonti si aprono di appagamento e il bambino entra a far parte del mondo, che nelle sue prospettive si amplia sino a comprendere l’universo stellato. Ecco perché l’infanzia può dirsi  ‘fedeltà del cielo’ e, grazie alle sue risorse di speranza, è destinata a coltivare per sempre ‘l’aiuola del cuore’.